cetty previtera
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La scorsa primavera, distesa nel bosco, osservando la luce filtrare dagli alberi, ebbi come l’impressione che il cielo colasse su tutto. In fondo è ciò che ho sempre percepito, il cielo addosso. Credo siamo avvolti, ricoperti dal cielo. L’aria non è che cielo. Nella mia pittura tutto si sovrappone, i colori si cercano, danzano alla ricerca di un accordo. Il cielo scende fin giù a terra e i colori della terra invadono l’aria. L’osservazione della natura da cui sono circondata è imprescindibile. Alberi, la montagna, fiori, tutto riporta il cielo addosso. Nulla è definito all’ apertura della danza, l’immersione nella natura non conosce dati certi, ma soltanto istinti di movimento, in una ricerca incessante e difficile di strutturazione. Così il paesaggio si scompone, la materia è indecisione pulsante finché non trova il calore e la poesia necessari ad essere altro, ad essere sé. Credo, ad essere me. Per me paesaggio è tutto, anche le piccole cose, sulla tela può esserci un paesaggio con tutto. Le immagini sono quelle che mi circondano nel quotidiano, sono intrise di punti oscuri in cui nascondermi, e macchiate di colore e calore.  Ho provato ancora a cogliere lo sguardo di ciò che è intorno, a farne specchio di me, ad assorbirlo, e poi a ricordarlo sulla tela. Il tentativo è stato ancora quello di far raccontare alla pittura una realtà nuova e autosufficiente.


Cetty, 2015



“Il tentativo è stato quello di far raccontare alla pittura una realtà nuova e autosufficiente …”

… a mio parere questa tua stessa ammissione è stata chiarificatrice a me stessa di ciò che la tua pittura svela: una realtà altra, muta a uno sguardo distratto e di superficie, ma che sussurra e svela a un animo sottile che ancor più sottile si fa per insinuarsi tra le trame del mondo. Una realtà fatta di sospensioni lungo le quali contemplare una dimensione impalpabile, sfuggente, che riesci a cogliere con i colpi d’occhio ma fissata nell’eternità di un attimo ovattato, dove pare sentire echi in lontananza, il rigenerarsi lento della natura o il silenzioso evaporare della pioggia poco prima caduta, il tutto mischiato a un senso pieno della solitudine, non quella che determina chiusura individuale ma la solitudine che fa spazio intorno, spazio vuoto per accogliere ed essere accolto da ciò che tu definisci “altro”, appunto.

Il cielo che cola su tutto è la realtà che si fa liquida, dentro e fuori. I colori, che si mescolano in cromie che quasi si autodeterminano, sono immagine di questo liquefarsi dell’interiorità nella realtà e viceversa, quasi come in un gioco di specchi, i contorni non sono più poi cosi definiti: gli alberi non sono più veramente alberi, della linea morbida del vulcano solo un cuore rosso pulsante, dei luoghi rappresentati solo l’essenza interna, di te il rosa, dentro e intorno a te…

Sarebbe un banale luogo comune affermare che la tua pittura sia li ad esprimere la tua interiorità. L’impressione invece è quella di essere davanti a un linguaggio pittorico che dà voce alla parola segreta del mondo o di quella fetta di mondo che ci è concesso cogliere e vederla attraverso ciò che tu vedi: nascondini di una realtà sottile, insenature che sono le pieghe intime del mondo, rifugi dei sogni non ancora sognati. L’artista come tramite.

In linea con ciò una tecnica che pur privilegiando la materia e la fisicità del colore, mira, ottenendolo, un risultato tutt’altro che materiale: qui tutto sembra avere la leggerezza del soffio, l’inconsistenza in divenire delle nuvole. Atmosfere di rarefazione che possono confondere l’osservatore o radicarlo a un sentire più forte; in tal senso una pittura che svela una corrispondenza di amorosi sensi a condizione che questa esista già in chi guarda, viceversa una pittura che può, che rischia di divenire oggetto di elucubrazioni mentali e teorie puramente estetiche. La tua percezione della natura fa capo a un sentire che ha bisogno della leggerezza e della purezza di cui esso stesso è fatto. A questo, e forse a nient’altro, la tua pittura deve continuare a tendere. A tal fine, più la comunicazione tra sé il fuori di sè si fa sottile, più c’è bisogno di imparare a camminare sul filo, a fare silenzio. Un filo teso da un capo all’altro della realtà vivente.

Guardare ed essere guardati.

Ecco, più che a dire o a commentare, la tua pittura suggerisce di stare e contemplare semplicemente per essere e sentire.


Melita La Rosa 2017, per Il cielo cola su tutto